Il deposito incontrollato è reato permanente – Cass Penale 48489/13
Il deposito incontrollato è reato permanente – la consumazione del reato perdura fino al recupero
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti è permanente, nel senso che da luogo ad una forma di gestione dei rifiuti preventiva rispetto al loro recupero e smaltimento; tale strumentalità prodromica commisura la consumazione del reato, in modo che questa perdura proprio fino al recupero e allo smaltimento dei rifiuti stessi.
di Avv. Rosa Bertuzzi
SENTENZA
- Con sentenza del 20 marzo 2013 la Corte d’appello di Trieste ha respinto l’appello proposto da F.S. avverso sentenza del 6 dicembre 2011 con cui il Tribunale di Udine, sezione distaccata Cividale del Friuli, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 1800 di ammenda per il reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, perchè, in concorso con altri due soggetti e in qualità di titolare di una ditta edile proprietaria di un terreno, effettuava su di esso gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi (materiale da costruzione contenente amianto) e non pericolosi, provenienti da demolizione.
- Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi. Il primo motivo denuncia motivazione apparente, che violerebbe la necessità del confronto col primo giudice punto per punto e analiticamente,, senza possibilità di rimandare alle sue valutazioni pedissequamente e per relationem. Il secondo motivo denuncia violazione delle norme sulla valutazione delle prove, con particolare riguardo all’art. 192 c.p.p., e in specie ai suoi commi terzo e quarto: sarebbero stati travisati, perchè omessi o trascurati, i contributi probatori difensivi e anche le testimonianze dei confinanti Fa.Gi., Fa.Lu. e Fa.Wa. confermerebbero il travisamento. Il terzo motivo denuncia estinzione per prescrizione del reato, in quanto avvenuto nella primavera del 2007.
Motivi della decisione
- Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo non ha consistenza sia sotto il profilo giuridico – è noto, infatti, che il giudice di secondo grado può avvalersi della motivazione del giudice di primo grado, econdo il principio della integrazione reciproca tra le motivazioni dei due gradi di merito, quando sono accomunate sul piano strutturale e argomentativo, come in questo caso è avvenuto, per ricostruire il fatto (di recente v. Cass. sez. 3^, 1 dicembre 2011-12 aprile 2012 n. 13926, che evidenzia come “Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione”), il percorso analitico di confronto essendo necessario soltanto ai fini della confutazione qualora il giudice di secondo grado riformi una sentenza assolutoria, in tal caso dovendosi dimostrarne l’insostenibilità sul piano logico e giuridico quantomeno sugli argomenti più rilevanti tramite una motivazione che si sovrapponga a tutto campo su quella del primo giudice (Cass. sez. 6^, 29 aprile 2009 n. 22120; Cass. sez. 5^, 5 maggio 2008 n. 35762) – sia in termini strettamente motivazionali. La doglianza che il giudice di secondo grado abbia pedissequamente seguito il primo giudice, infatti non corrisponde al contenuto della sentenza impugnata. Avendo l’appello lamentato l’erronea valutazione delle risultanze processuali, la corte territoriale, dopo aver sunteggiato il contenuto della prima sentenza, a ciò non limitandosi ha riesaminato puntualmente gli esiti testimoniali, e cioè le dichiarazioni del tecnico dell’ARPA (che aveva trovato i rifiuti sul terreno), del confinante Fa. W. (che aveva visto nel 2008 due persone che scaricavano detriti sul terreno, le quali gli avevano detto di essere state mandate dall’imputato, e altresì nel giugno 2009 aveva visto l’imputato che con suo figlio scaricava materiale bituminoso), del confinante Fa.Gi. (che aveva visto operai, “presumibilmente del F.”, smantellare una tettoia di eternit accatastandone le lastre sul terreno nella primavera del 2007), del confinante Fa. L. (che pure aveva visto smantellare tale tettoia nella primavera del 2007), del teste di difesa A.P., (dipendente dell’imputato, che negava fosse stato depositato eternit nel terreno, affermando di avervi conferito solo materiale di risulta su incarico dell’imputato e un paio di carriole di detriti); altresì la corte territoriale ha considerato espressamente le dichiarazioni rese dall’imputato nell’esame, con cui aveva ammesso di avere conservato la disponibilità del terreno dopo averlo ceduto ad altro soggetto (REI Srl) per modesti conferimenti temporanei di materiale di risulta, negando di avervi ammassato eternit. Dopo questo accurato screening del compendio probatorio, la corte territoriale ha dunque dedotto che l’imputato era stato proprietario fino a settembre del 2007 del terreno in questione, che nella primavera del 2007 i suoi operai avevano smantellato la tettoia lasciando sul posto le lastre di eternit e che il materiale edile di risulta era stato accumulato prima e dopo la cessione del terreno a REI Srl, anche dagli operai dell’imputato. E’ evidente, pertanto, che la corte ha adempiuto in modo completo e adeguato al suo obbligo motivazionale.
3.2 Il secondo motivo sostiene, in sintesi, che la corte territoriale abbia travisato le risultanze istruttorie, per non avere considerato, soprattutto, quanto dichiarato dal F. e dal suo dipendente, e avere male interpretato le dichiarazioni dei confinanti Fa.. Quanto appena riportato a proposito del primo motivo evidenzia la manifesta infondatezza di questa doglianza, non avendo la corte nè omesso nè trascurato alcuna delle risultanze componenti il compendio probatorio, e non essendo comunque incorsa in un travisamento del loro significato.
3.3 Il terzo motivo assume la maturata prescrizione del reato sulla base del fatto che sarebbe stata accertata la sua commissione nella primavera del 2007. La questione è, in buona parte, fattuale; peraltro, la corte territoriale aveva già chiarito che, da un lato, l’abbandono di rifiuti sul terreno perdurava fino al 2009 (“risulta che i rifiuti si trovavano in loco quantomeno dal 2007 e fino al 2009, per cui appare destituita di fondamento la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di una collocazione temporanea”: motivazione, ultima pagina), e che, dall’altro, trattasi di reato permanente, la cui consumazione perdura fino allo smaltimento o al recupero. Invero, il reato di deposito incontrollato di rifiuti è permanente, nel senso che da luogo ad una forma di gestione dei rifiuti preventiva rispetto al loro recupero e smaltimento; tale strumentalità prodromica commisura la consumazione del reato, in modo che questa perdura proprio fino al recupero e allo smaltimento dei rifiuti stessi (cfr. da ultimo Cass. sez. 3^, 26 maggio 2011 n. 25216). Non è configurabile, dunque, l’estinzione del reato per prescrizione come prospettato dal ricorrente. Essendo risultati manifestamente infondati i motivi in esso adotti, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2013
di Avv. Rosa Bertuzzi