Cassazione: l’immigrato deve adeguarsi ai nostri valori
In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.
Così la sentenza della Corte di Cassazione n.24084 del 15 maggio 2017 ha deciso a seguito del ricorso proposto da un indiano sikh che era stato fermato dalla Polizia Locale di Goito, alla quale ha opposto resistenza, mentre circolava per la cittadina con un coltello di 18,5 centimetri alla cintola asserendo che il Kirpan è “uno dei simboli della religione monoteista Sikh” e per questo ha invocato la garanzia posta dall’articolo 19 della Costituzione.
Gli Ermellini precisano che la società multietnica è una necessità, ma non possono ne devono crearsi delle sacche di etnie che non riconoscono e rispettano la cultura e la legge italiana, quest’ultima individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere.
La sentenza, che non accoglie il ricorso, specifica che il porto di armi ricorre quando le esigenze dell’agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto.
Cassazione Penale n. 24084 del 15.5.17
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