LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento
del processo è esposto come segue.
Con atto di citazione ritualmente
notificato l’avv. P. chiamava in giudizio il Comune di
Perugia in persona del Sindaco legale rappresentante
pro-tempore per sentirlo condannare al pagamento di £
200.000 o nella misura che il Giudice, in via equitativa,
ritenesse opportuno liquidare a titolo di risarcimento dei
danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Esponeva l’attore che in data 25/9/93
egli aveva trovato sul cruscotto della propria auto FIAT 126
targata PG 451883, momentaneamente parcheggiata all’inizio
di via Mazzini a Perugia, una contravvenzione stradale per
violazione dell’art. 158 C.d.S. (divieto di accesso in zona
ZTL).
L’avv. P., individuato il vigile
accertatore, gli faceva presente di essere munito di
permesso per accedere al centro storico; ma questi,
nonostante la manifesta inesattezza della contestazione,
rimaneva fermo nella propria posizione.
Successivamente, con accomandata del
27/9/93, allegata agli atti, l’attore comunicava al Comando
dei Vigili Urbani che la contravvenzione per il divieto di
accesso non poteva essere operante dal momento che egli era
munito di regolare permesso per accedere al centro storico.
Il Comando dei Vigili urbani con lettera
del 20/10/1993, stampata su modello precostituito,
genericamente rispondeva insistendo nella fondatezza della
contestazione, ed in data 14/12/93 l’Ufficio notifiche del
Corpo di Polizia Municipale notificava all’Avv. P. un
verbale di Contravvenzione per violazione dell’art. 158
C.d.S.
L’avv. P. con lettera 14/4/95 tentava
ancora una vota ed in via bonaria di evidenziare la
illegittimità della contravvenzione motivandone le ragioni,
ma il Comando dei Vigili urbani persisteva nella propria
posizione.
Per tali motivi l’attore si vedeva
costretto a proporre ricorso al Prefetto di Perugia avverso
al verbale, ed il Prefetto, riconosciuta la fondatezza della
opposizione proposta, disponeva l’archiviazione del verbale
impugnato.
Per la non corretta condotta tenuta dal
Comando dei Vigili Urbani l’Avv. P. riteneva di aver subito
danni patrimoniali (redazione dell’atto di opposizione,
posta…) e danni non patrimoniali causati dallo stress dovuto
alla illegittima contestazione che gli aveva provocato ansia
e disagio.
Si costituiva il Comune di Perugia in
persona del Sindaco Pro-tempore e contestava la
ricostruzione dei fatti così come descritti nell’atto di
Citazione dall’Avv. P.: in particolare evidenziava che agli
atti del Comune non risultava traccia dello scambio di note
27/9/93 e 20/10/93 tra lo stesso Avv. P. ed il Comando dei
Vigili Urbani relativo alla contravvenzione del 25/9/93.
Inoltre rimarcava che la lettera del
14/4/95 (doc. n. dell’atto di Citazione) era stata rimessa
dopo l’inoltro del ricorso al Prefetto e quindi,
presumibilmente, andava riferita ad altra contravvenzione.
In ogni caso il Comune sosteneva che da
quanto denunciato dall’Attore non potesse ravvisarsi un
danno risarcibile ai
sensi dell’art. 2043 c.c. [1].
Inoltre, ai sensi dell’art. 7 c.p.c. il
Comune convenuto riteneva che il Giudice di Pace fosse
competente per le cause di risarcimento del danno prodotto
dalla circolazione degli autoveicoli purchè il valore della
controversia non fosse superiore a £ 30.000.000.
Pertanto il danno di cui l’attore
pretendeva il ristoro, non attenendo alla circolazione dei
veicoli, non era di competenza del Giudice adito.
Il Comune, nel merito, aggiungeva che
l’interessato, una volta proposta opposizione al verbale in
sede amministrativa, aveva ottenuto, con l’archiviazione, il
pieno soddisfacimento della propria pretesa, pertanto nel
comportamento della Pubblica Amministrazione convenuta non
poteva ravvisarsi una colpa costitutiva dell’illecito civile
di cui all’art. 2043 c.c.
D’altro canto nel caso in specie, pur
ammettendo che l’Amministrazione comunale avesse posto in
essere un atto illegittimo (verbale di contravvenzione),
successivamente, secondo le regole di buona amministrazione,
non aveva dato esecuzione allo stesso, ma aveva provveduto a
sospendere la riscossione della relativa somma.
Quanto al pregiudizio patrimoniale i
danni di cui l’attore chiedeva il risarcimento non erano
stati dimostrati dallo stesso, anche perché il ricorso al
Prefetto può essere consegnato a mani proprie
dall’interessato, senza dover sostenere alcun onere
economico.
Ancor più difficile, secondo il
convenuto, la dimostrazione dell’insorgere di un danno
biologico in un soggetto che, esercitando la professione di
avvocato, abituato a gestire le liti, non doveva aver subito
disagio e stress in seguito alla notifica di una
contravvenzione al codice della strada…
Con sentenza emessa e depositata il
26/4/00 il Giudice di Pace di Perugia, definitivamente
pronunciando, condannava il Comune di Perugia a
corrispondere la somma di £ 200.000 a favore dell’Avv. U.
P., a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non
patrimoniali; condannava altresì la parte convenuta al
pagamento delle spese del giudizio che liquidava in
complessive £ 500.000.
Contro questa decisione ha proposto
ricorso per cassazione il Comune di Perugia.
Ha resistito con controricorso l’Avv. U.
P..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico, articolato motivo di
ricorso, la difesa del comune, dopo aver premesso che
intende gravarsi contro la sentenza n. 115/2000, entro i
limiti…cui è sottoposta l’impugnazione delle pronunce rese
dal giudice di pace secondo equità ai sensi dell’art. 113,
secondo comma c.p.c…espone le seguenti doglianze.
Non sussisteva, e comunque non ne è stata
fornita la prova, alcuno degli elementi costitutivi; fatto
colposo dell’amministrazione, danno e nesso eziologico.
La sentenza impugnata ha violato i
seguenti ineludibili principi: violazione di norma
costituzionale: l’art. 28 della Costituzione impone
l’applicazione, tra le alte, delle disposizioni contenute
nel libro quarto, titolo IX del codice civile, tra cui, per
quanto interessa in questa sede, l’art. 2043: nel caso che
ci occupa la norma appare violata in quanto nella presente
fattispecie nessuno degli elementi costitutivi di cui
all’art. 2043 c.c. è riscontrabile ed è stato riscontrato
dal giudice di prime cure.
Pertanto la condanna dell’ente pubblico
contrasta con il precetto costituzionale sopra richiamato.
In punto di colpa dell’amministrazione.
Nella sentenza della Corte di Cassazione
n. 500/99 l’elemento soggettivo in capo alla PA che ha
consumato il fatto illecito viene rinvenuto non in via
presuntiva dalla mera caducazione di un atto amministrativo
(che può rappresentare, se del caso, un presupposto minimo),
ma deve necessariamente incentrarsi nella violazione delle
regole di imparzialità, di correttezza e di buona
amministrazione alle quali l’esercizio della funzione
amministrativa deve ispirarsi…
A ciò si aggiunga che la dottrina
circoscrive tale violazione ai casi di vera e propria mala
amministrazione inconciliabile con i precetti di cui
all’art. 97 della Costituzione.
Orbene, nella fattispecie oggetto di
giudizio: l’atto amministrativo (verbale di contravvenzione)
è stato caducato solo per ragioni formali (omessa
specificazione del comma dell’art. 158 del codice della
strada), nel mentre è pacifico che era stata contestata
all’attore in prima sede sia la mancata esposizione del
permesso ZTL sia la sosta su area vietata; la condotta
serbata dal Comune di Perugia anche nel mantenere ferma la
sanzione adottata appare dunque scevra da critiche, attesa
la piena legittimità del proprio operato; inoltre nessun
estenuante tentativo di soluzione binaria della vicenda è
stato mai posto in essere dalla controparte; infine, l’atto,
quand’anche possa ritenersi illegittimo, non è stato
eseguito dall’amministrazione.
In punto di danno e nesso eziologico.
Parimenti non è dato riscontrare in atti
alcun elemento da cui possa derivarsi l’esistenza di un
danno ovvero del nesso eziologico tra comportamento
(asseritamente) colposo dell’amministrazione e (pretesa)
lesione.
Violazione dei principio generali
dell’orientamento giuridico (onere della prova); norma
processuali in punto di prova (art. 116 c.p.c.) e norma
sostanziali necessariamente presupposte (art. 2697 c.c.).
Il giudice di prime cure ha violato il
precetto di cui all’art. 2697 c.c., in forza del quale, nel
caso di responsabilità aquiliana, spetta all’interessato
dimostrare gli elementi costitutivi della fattispecie.
Altro principio fondamentale violato,
anche in dispregio del disposto di cui all’art. 116 c.p.c.
circa la valutabilità del contegno delle parti, è quello per
cui la prova di un fatto può essere desunta anche dalla
mancata contestazione di un assunto avversario.
Infatti nel caso che ci occupa: quanto al
danno il Comune di Perugia ne ha negata la sussistenza e
l’avv. P. non ha fornito un benchè minimo principio di prova
(come, ad esempio, un certificato medico comprovante
l’alterazione della propria sfera psico- emotiva), quanto
alla colpa dell’amministrazione il giudice ne ha desunto la
sussistenza dalla mera caducazione dell’atto e
dall’indimostrata affermazione attorea di aver profuso
chissà quali e quante energie per ottenere l’annullamento in
parola; invero non solo l’avv. P. non ha dimostrato
l’elemento soggettivo, ma per converso il Comune ha fornito
la prova della legittimità del proprio operato (controparte
ha violato le norme in materia di sosta e lo ha pure
ammesso), ha dimostrato di avere ricevuto una sola richiesta
di archiviazione del verbale ed ha offerto di poter provare
anche per testimoni l’esistenza della violazione contestata
(cfr. memoria autorizzata del 6/3/2000 pag. 3).
Lo stesso va affermato con riferimento al
nesso eziologico che pure è rimasto sfornito di supporto
probatorio.
Vizio motivazionale; violazione dei
principi generali e processuali.
In primo luogo il mancato rispetto delle
norme in materia di prova e il non avere ammesso i mezzi
istruttori richiesti dal convenuto su un punto fondamentale
(colpa o legittimità dell’operato amministrativo) è ex se
fondante il vizio denunciato.
La pronuncia non fornisce comunque alcuna
logica contezza circa tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie aquiliana.
Violazione di norma processuale (art. 91
c.p.c.) e di norma sostanziale necessariamente sottesa (D.
Min. GG. 5/10/1994 n. 585).
È il caso infine di evidenziare altro
capo illegittimo della pronuncia, vale a dire quello
relativo alla quantificazione delle spese di lite in £
500.000, a fronte di un danno equitativamente liquidato in £
200.000.
Infatti alla norma processuale invocata
in epigrafe è sottesa la vigente disciplina delle tariffe
forensi in forza della quale, per il citato valore di causa,
possono riconoscersi al massimo onorari per £ 150.000, oltre
alle funzioni dello scaglione minimo (£ 4.000).
Il motivo non può essere accolto.
Circa i vizi denunciabili in sede di
ricorso per cassazione contro sentenza del Giudice di Pace
resa ex art. 113 cit. va precisato che secondo la più
recente giurisprudenza di questa Corte, le sentenze
pronunciate dal Giudice di pace in controversie di valore
non superiore a due milioni (sentenze da ritenersi sempre
pronunciate secondo equità, anche quando il giudice abbia
fatto applicazione di una norma di legge, con o senza
espressa indicazione della sua rispondenza all’equità) sono
ricorribili in cassazione per violazione delle norme
processuali ai sensi dell’art. 360 primo comma numeri 1, 2,
e 4 cod. proc. civ. (in quest’ultimo caso anche con
riferimento alle ipotesi di inesistenza della motivazione),
nonché ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cit., con riferimento
alle sole ipotesi equiparabili a quella di inesistenza della
motivazione e cioè solo allorquando quest’ultima, pur
sussistendo formalmente, debba considerarsi meramente
apparente per la concreta impossibilità di comprenderne la
ratio decidendi (ad esempio a causa di radicale ed
insanabile contraddittorietà della motivazione), mentre la
censura di violazione della legge sostanziale ai sensi del
n. 3 del citato art. 360 è consentita soltanto in caso di
inosservanza o falsa applicazione della costituzione e delle
norme comunitarie (se di rango superiore a quelle
ordinarie).
Ne consegue che è pertanto inammissibile
la denunzia della violazione della norma di cui all’art.
1189 cod. civ., in tema di pagamento al creditore apparente,
non trattandosi ne di norma costituzionale, ne di
disposizione comunitaria di rango superiore alla norma
ordinaria.
(Cass. n. 09393 del 11/6/2003; con
riferimento ai vizi di violazione di legge denunciabili v.
anche Cass. Sez. Un. n. 08223 del 6/6/2002: la pronuncia
secondo equità resa dal giudice di pace in controversie non
eccedenti il valore di due milioni di lire, non più soggetta
ai principi regolatori della materia ed ai principi generali
dell’ordinamento (art. 113, comma secondo cod. proc. civ.
nella riformulazione introdotta dall’art. 21 della legge
374/1991), è sottoposta soltanto all’osservanza delle norme
costituzionali e delle norme comunitarie di rango superiore
a quelle ordinarie, nonché delle norme processuali ai sensi
dell’art. 311 cod. proc. civ.).
ciò premesso si osserva che il motivo di
ricorso in esame è inammissibile (per le ragioni che
verranno esposte) prima ancora che privo di pregio (essendo
l’impugnata decisione immune da vizi che siano
contemporaneamente denunciati nel ricorso e denunciabili
nella presente sede; ed in particolare non essendo comunque
ipotizzabili nella specie le denunciate violazioni di legge
processuale e di norme costituzionali).
Tali ragioni di inammissibilità sono le
seguenti: al di la delle formale denuncia di violazione
dell’art. 28 cost. (in realtà neppure ipotizzabile nella
specie) la norma realmente oggetto di doglianza è l’art.
2043 c.c. e cioè una norma di legge ordinaria di carattere
sostanziale; si è quindi di fronte ad una doglianza non
ammissibile; una ulteriore autonoma (e anch’essa già di per
se decisiva) ragione di inammissibilità è costituita dalla
circostanza che a ben guardare il motivo di gravame non
contiene neppure vere doglianze concernenti la violazione di
detta norma sostanziale in quanto l’asserita mancanza degli
elementi costitutivi di cui all’art. 2043 c.c…. attiene in
realtà ad un giudizio di mero fatto concernente la
valutazione del materiale probatorio; analoghe
considerazioni valgono anche con riferimento all’asserita
violazione dell’art. 116 c.p.c., nel senso che al di la
della formale denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c.
(comunque neppure ipotizzabile nella specie) la norma
realmente oggetto di doglianza e l’art. 2697 c.c. e cioè una
norma di legge ordinaria di carattere sostanziale; e che
anche in tal caso in realtà il motivo di gravame non
contiene neppure vere doglianze concernenti la violazione di
detta norma sostanziale in quanto l’asserita violazione
dell’art. 2697 c.c. attiene in realtà ad un giudizio di mero
fatto concernente la valutazione del materiale probatorio;
nei limiti in cui si fondano su specifiche risultanze
processuali le doglianze sono inammissibili anche perché, in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso non
riportano integralmente il contenuto delle risultanze
medesime (cfr. tra le altre Cass. n. 2838 del 25/3/1999,
Cass. n. 3284 del 5/3/2003, Cass. a Sez. Un. n. 9561 del
16/6/2003); come si è già esposto, i vizi ex art. 360 n. 5
(ed i vizi di violazione di norme sostanziali) non sono
denunciabili nella presente sede; e nella specie non è
ritualmente e chiaramente denunciato il vizio di motivazione
insussistente ovvero meramente apparente (del resto la
motivazione sussiste in concreto e non è meramente
apparente); ne la doglianza concernente l’asserito vizio di
ultrapetizione è stata ritualmente supportata dalla
indicazione degli atti e delle difese di controparte su cui
si fonderebbe, nonché dalla citazione dei brani rilevanti di
tali atti e difese (cfr. con riferimento alla circostanza
che il principio di autosufficienza si applica anche nel
caso di denuncia di errores in procedendo, Cass. n. 05148
del 3/4/2003: il ricorrente che denunzi un error in
procedendo è tenuto, in ossequio al principio di specificità
ed autosufficienza del ricorso che deve consentire al
giudice di legittimità di effettuare, senza compiere
generali verifiche degli atti, i controllo demandatogli del
corretto svolgersi dell’iter processuale, non solo ad
enunciare le norme processuali violate, ma anche a
specificare le ragioni della violazione, incoerenza a quanto
prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione
da lui prospettata e, soprattutto , è tenuto a specificare
puntualmente i singoli passaggi dello sviluppo processuale
nel corso del quale è stato commesso l’errore che si adduce
indicato, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del
processo ove rinvenire gli atti, le pronunzie o le omissioni
che si pongano in contrasto con la norma; non sembra
comunque inutile aggiungere, per mera completezza ed anche
se non sarebbe necessario, che la doglianza è in ogni caso
pure priva di base in fatto dato che nell'atto di citazione
dell’avv. U. P. innanzi al Giudice di Pace di Perugia era
stata esposta una chiara richiesta di risarcimento anche del
danno non patrimoniale, come si evince in particolare dalle
pagg. 2 e 3); la doglianza concernente l’asserita violazione
dell’art. 91 c.p.c. e di norma sostanziale necessariamente
sottesa, è inammissibile in quanto non contiene la specifica
indicazione voce per voce dei singoli importi ritenuti
dovuti in relazione agli importi in concreto liquidati; ed
inoltre (trattasi di una ulteriore autonoma ragione di
inammissibilità, anch’essa decisiva già da sola) in quanto
concerne in realtà non la debenza o meno delle spese (le
problematiche concernenti tale debenza concernerebbero
effettivamente l’art. 91 cod. proc. civ.), ma la
quantificazione delle spese stesse (è inammissibile il
motivo del ricorso per cassazione avverso sentenza del
giudice di pace, in causa di valore inferiore a £ due
milioni, con il quale si denunzi non la debenza o meno delle
spese, cioè la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.,
norma processuale alla cui osservanza è tenuto anche il
giudice di pace, ma la quantificazione delle spese stesse.
In particolare, sono norme di carattere
sostanziale, che il giudice di pace non è tenuto ad
osservare allorchè pronunzia in controversie di valore
inferiore a £ due milioni, le disposizioni, contenute in
leggi o in altre fonti del diritto (come le deliberazioni
del Consiglio nazionale forense che stabiliscono i criteri
per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle
indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni
giudiziali), relative al quantum delle spese che devono
essere liquidate in favore della parte vincitrice (ed a
carico di quella soccombente); Cass. n. 01185 del 27/1/2003).
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono
liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la
parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di
cassazione liquidate in E 280, oltre E 100 per spese vive e
oltre spese generali ed accessorie come per legge.
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio
2004.