Occupazione scolastica: i ragazzi rischiano la condanna

Portrait of smart guy making notes in copybook with his classmates near by

Per l’occupazione scolastica i ragazzi rischiano condanna per violenza privata e interruzione di pubblico servizio

Come tutti sappiamo anche i minorenni rischiano procedimenti penali qualora commettono dei reati, in questi casi essi soggiacciono alle decisioni del Tribunale per i Minorenni competente per territorio.

Nella sentenza di Cassazione di seguito trascritta, il minore aveva partecipato ad uno sciopero scolastico effettuando occupando la scuola e costringendo sia i dipendenti della scuola a non prendere servizio che agli altri studenti, che non volevano aderire allo sciopero,ad entrare nell’Istituto.

Nella sentenza appellata e confermata dalla Suprema Corte, è ritenuto giusto contestare la violenza privata e l’interruzione del pubblico servizio sui quali poi è intervenuto l’istituto del perdono giudiziale previsto in tali casi.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 23 febbraio 2016, n. 7084

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente –

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere –

Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 584/2012 GUP PRESSO TRIB.MINORI di VENEZIA, del 25/09/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

– Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dott. Birritteri Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

– Udito, per l’imputato, l’avv. Palandri Marco, quale sostituto processuale dell’avv. Farinea Alfiero, che si è riportato al ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

 Svolgimento del processo

1. Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale dei Minorenni di Venezia ha, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.M. per reati di violenza privata e interruzione di pubblico servizio per concessione del perdono giudiziale, nonchè per i reati di minaccia e diffamazione per remissione della querela.

Il P. è accusato di avere, in concorso con soggetti non identificati, impedito – bloccando le porte – al personale docente e ad altri studenti l’accesso all’istituto scolastico “Giordano Bruno” di (OMISSIS) e il regolare svolgimento delle lezioni; inoltre, di aver minacciato e diffamato la preside dell’Istituto.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato – l’avv. Alfiero Farinea – denunciando plurimi vizi di motivazione.

2.1. Lamenta, innanzitutto, quanto al reato di violenza privata (capo A), che il Giudice dell’udienza preliminare abbia ritenuto integrato il reato de quo sebbene abbia poi riconosciuto che il personale docente e quello amministrativo, nonchè gli studenti, ebbero facoltà di accesso all’Istituto da una porta secondaria, come si desumerebbe dalle dichiarazioni dei testi F. e Fr..

Deduce che a nessuno degli studenti rimasti fuori dell’edificio fu impedito l’accesso allo stesso da parte dell’imputato, come riferito, ancora una volta, dai testi S., F. e V.. Sotto altro profilo lamenta che P. sia stato condannato per fatti diversi da quelli contestati, in quanto nell’imputazione si parla di impedimento, frapposto a insegnanti e studenti, ad entrare nell’edificio scolastico, mentre nella motivazione della sentenza si parla di impedimento a svolgere o seguire le lezioni.

2.2. Quanto al reato di interruzione di pubblico servizio (capo B), lamenta che, con motivazione illogica e in violazione di precise norme di legge, ordinaria e costituzionale, sia stato escluso l’esercizio del diritto di sciopero, riunione e manifestazione del pensiero, che avrebbero reso operante la scriminante dell’art. 51 cod. pen.. In particolare, si duole del fatto che il G.U.P. abbia fatto riferimento, per dedurre l’illiceità della manifestazione, ai diritti dei non partecipanti, senza operare il dovuto bilanciamento con i diritti esercitati da P. e senza tener conto delle specifiche modalità di svolgimento della protesta, limitata nel tempo e improntata al dialogo con tutti gli operatori scolastici.

Inoltre, lamenta che i giudici abbiano individuato nella ed “autogestione istituzionale” un’alternativa all’occupazione e allo sciopero e che abbiano fatto leva sull’assenza di un congruo preavviso per dedurre l’illegittimità dell’iniziativa.

2.3. In ordine ad entrambi i reati per cui è stato applicato il perdono giudiziale lamenta, infine, che, in maniera contraddittoria, i giudici abbiano escluso la scriminante putativa di cui all’art. 51 cod. pen., avendo dato atto che P. ha dichiarato, nel corso della protesta, di agire in base all’art. 18 Cost. e che precedenti proteste, svolte con le stesse modalità, non avevano comportato “conseguenze negative”.

Motivi della decisione

Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.

1. Il primo motivo è inammissibile perchè interpreta liberamente le proposizioni contenute in sentenza e perchè propone una diversa ricostruzione del fatto, contrastante con quella operata dai giudici di primo e secondo grado, senza dedurre il travisamento della prova da parte del giudicante.

In sentenza si da atto – con estrema chiarezza – che al personale docente, al personale amministrativo e agli studenti (che non aderivano alla manifestazione) fu impedito l’accesso, perchè il portone principale della scuola era stato sbarrato e l’accesso ara consentito solo attraverso una porta di sicurezza laterale, dove, per entrare, si dovevano contrattare le condizioni di ingresso, che era di fatto subordinato all’adesione alla manifestazione (pag. 4).

Inutilmente, pertanto, il ricorrente si appella a diverse dichiarazioni rese -secondo il suo modo di vedere – dai testi ( S., F., Fr., V.), giacchè in sentenza le dichiarazioni di costoro sono riprodotte con contenuto esattamente contrario (inutile rimarcare che la lettura e l’interpretazione delle dichiarazioni rese dai soggetti del processo spetta al giudicante e che la contestazione di quell’interpretazione richiede – per essere apprezzata in sede di legittimità – la deduzione e la dimostrazione del “travisamento probatorio” ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nemmeno “tentate” dal ricorrente).

Quanto alla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., pure adombrata col primo motivo di ricorso, basti rimarcare che l’impedimento, frapposto dal ricorrente ai compagni di scuola e al corpo docente, ad entrare nell’edificio scolastico – come da questi compreso e come si apprezza con la semplice lettura dell’imputazione – rappresenta un dippiù rispetto all’impedimento o al disturbo del normale svolgimento delle lezioni. Da qui, l’assenza di ogni profilo di incertezza sul contenuto dell’imputazione o di violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza; correlazione che sussiste ogni qualvolta l’imputato sia stato in grado – come nella specie – di difendersi dall’accusa mossa nei suoi confronti.

2. I Giudici di merito non hanno affatto negato al ricorrente la titolarità del “diritto di sciopero” (diritto, peraltro, difficilmente riconducibile alle situazioni soggettive ravvisabili in capo allo “studente”), di riunione o di manifestazione del pensiero; hanno chiaramente affermato – in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 12464 del 2.7.1980) – che lo stesso esercizio di diritti fondamentali, quali quello di sciopero, riunione e di manifestazione del pensiero, “cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti”; esattamente come avvenuto nella specie, giacchè l’occupazione temporanea della scuola (per circa due ore) “ha di fatto impedito ai non manifestanti di svolgere le consuete attività di studio per un tempo apprezzabile, con conseguente ingiustificata compressione dei loro diritti” (pag. 7). Gli altri argomenti spesi dal giudicante per spiegare l’arbitrarietà dell’iniziativa (possibilità di effettuare una “autogestione programmata” con obbligo di preavviso) sono serviti alla Corte d’appello per chiarire che l’imputato aveva altri strumenti per impostare un dialogo costruttivo con i compagni di scuola e col corpo docente; non si è limitata a motivare la decisione col richiamare gli “strumenti alternativi” che potevano essere – e non sono stati -attivati nella specie. Così ragionando la Corte d’appello non ha affatto negato rilevanza ai diritti evocati dal ricorrente, ma ne ha riconosciuto l’efficacia scriminante fino a che l’esercizio delle facoltà ad essi connesse non ridondi in una lesione di altri interessi generali costituzionalmente protetti, non potendo in alcun modo in tali casi ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 51.

3. Quanto all’ultimo motivo, non può bastare l’affermazione dell’interessato di aver agito “in base all’art. 18 della Costituzione” per ritenere operante la scriminante putativa, nè il fatto che, in altre occasioni, all’occupazione della scuola non fossero seguiti procedimenti disciplinari a carico dei promotori. La Corte d’appello ha evidenziato che P. era soggetto “intellettualmente attrezzato”, perfettamente in grado di comprendere il carattere antisociale delle sue azioni, per cui era anche in grado di comprendere che la tolleranza manifestata in precedenti occasioni non rendeva lecita una condotta altrimenti incidente – in maniera negativa – sui diritti degli altri studenti e su quelli degli operatori scolastici, nè poteva essere posta a base di comportamenti indefinitamente protratti nel tempo, specie a fronte della aperta opposizione -manifesta nella specie – della dirigenza dell’Istituto.

Peraltro, occorre considerare che la scriminante putativa presuppone un vero e proprio errore sul fatto, nel senso che l’agente deve “credere” di trovarsi in una situazione che, se effettivamente esistente, integrerebbe gli elementi della causa di giustificazione.

Pertanto, ove la scriminante invocata sia costituita dall’esercizio del diritto, l’errore non può consistere nell’attribuire al diritto (di associazione, nella specie) una estensione maggiore di quella riconosciutagli dall’ordinamento, perchè, in tal caso, si verserebbe in errore sul diritto (e non sul fatto), che è fuori dell’ambito di operatività dell’art. 59 cod. pen.. Ed è proprio questa la situazione evocata nella specie, in quanto nessuna norma autorizzava l’imputato ad associarsi con altri studenti nella maniera da lui pretesa e a comprimere il diritto di coloro che volevano partecipare allo svolgimento delle lezioni o a rendere la prestazione lavorativa.

Consegue a tanto che il ricorso, infondato sotto ogni aspetto, va rigettato. La minore età dell’imputato all’epoca del fatto esclude che debba essere condannato alle spese del procedimento ed impone l’oscuramento dei dati che lo riguardano, a fronte della diffusione del provvedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2016.

Potrebbero interessarti anche...