Comunicare di non ricordare non può essere sanzionato: Corte di Cassazione Civile sez. II 18/4/2018 n. 9555

Corte di Cassazione Civile sez. II 18/4/2018 n. 9555

(vedi commento del dott. Franco Simoncini)

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso regolarmente notificato V. Rosa impugnava davanti al Giudice di Pace di Bari il verbale di accertamento del 15.12.2007 elevato dalla Polizia Municipale di Bari per violazione dell’art. 126 bis C.d.S., eccependo, per quello che qui interessa, di aver comunicato tempestivamente alla suddetta Polizia Municipale di non essere in grado di indicare le generalità di chi era alla guida del veicolo di sua proprietà al momento della originaria infrazione a causa sia del notevole tempo trascorso tra l’infrazione (il 06/03/07) e la notifica del verbale di accertamento (il 28/06/07), sia della circostanza che il veicolo era utilizzato oltre che da lei anche dal marito e dalle sue due figlie.

Si costituiva in giudizio il Comune di Bari chiedendo il rigetto del ricorso, rilevando che in base alla normativa vigente il proprietario del veicolo è sempre tenuto a conoscere le generalità di colui al quale   affida la conduzione del mezzo, e nel caso in cui non sia in grado di comunicarle risponde a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento del veicolo stesso.

Il Giudice di Pace adito con sentenza n. 7244/2008 accoglieva il ricorso della Vista e condannava il  Comune  di  Bari  al pagamento delle spese di lite.
Avverso la suddetta decisione proponeva appello il Comune di Bari avanti il Tribunale di Bari; si costituiva in giudizio Vista Rosa che chiedeva il rigetto dell’impugnazione.
Il Tribunale di Bari con la sentenza n.4848/2014 (depositata il 4/11/2014) rigettava l’appello e per l’effetto confermava la sentenza impugnata, con  condanna  nei  confronti  del  Comune di Bari al pagamento delle spese di lite.
A sostegno della decisione il giudice di secondo grado, richiamando i principi espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n.165/2008, secondo cui bisogna distinguere la condotta di chi omette del tutto di comunicare alla P.A. le generalità del conducente del veicolo al momento dell’infrazione da quella di colui che invece comunichi l’esistenza di validi motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione dei dati richiesti, rilevava che nel caso di specie l’appellata non era stata in grado di fornire i dati  del  conducente la sua automobile, in quanto la violazione risaliva a circa quattro mesi prima rispetto alla notifica del verbale ed il veicolo era spesso utilizzato anche dal marito e dalle due figlie, tutti muniti di patente.
L’omissione da parte dell’appellata era perciò legittima ed escludeva la sua responsabilità per la contestata violazione amministrativa.
Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione il Comune di Bari formulando un unico motivo.
Resiste Vista Rosa con apposito contro ricorso.

2. Con un unico motivo il ricorrente eccepisce in  relazione all’art. 360, n.3, c.p.c., la violazione o falsa  applicazione  degli artt. 126 bis, comma 2, e 180, comma 8,  del  Codice  della Strada.
A suo avviso il Giudice di appello avrebbe errato nel giustificare l’omissione della Vista, in quanto la corretta interpretazione delle norme citate obbliga il proprietario del veicolo  di conoscere le generalità del conducente il proprio veicolo, non essendo sufficiente per sottrarsi a tale obbligo addurre che l’automobile è in uso a più persone.
Il motivo è infondato.
Non ignora il Collegio come la questione sia stata oggetto di precedenti interventi da parte di questa stessa Sezione che in varie occasioni ha avuto modo di affermare che ( cfr. Cass. n. 12842/2009) in tema di violazioni alle norme del codice della strada, il proprietario di  un  veicolo,  in  quanto  responsabile  della circolazione dello stesso nei  confronti  della  P.A.  o  dei terzi, è tenuto sempre a  conoscere  l’identità  dei  soggetti  ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa. L’inosservanza di tale dovere di collaborazione è sanzionata, in base al combinato disposto degli art. 126-bis e 180 del codice della strada, alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2005, senza che il proprietario possa sottrarsi  legittimamente  a  tale  obbligo  in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso (conforme Cass. n. 21957/2014, Cass. n. n.13748/2007,  nonché  da  ultimo  Cass.  n.  29593/2017, secondo cui il proprietario del veicolo sarebbe tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta).
Trattasi però di orientamento che  deve  essere  precisato  alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza interpretativa  n. 165 del 2008, la  cui portata, benchè in molti casi anteriore a quella  di deliberazione delle sentenze sopra citate, non appare essere  stata presa in esame in tutte le sue implicazioni.
Il giudice delle leggi in motivazione ha infatti affermato:” ….che debba essere riconosciuta  al proprietario  del  veicolo  la  facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella “negativa”  (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione), è  una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata   disposizione,   nella  parte  in  cui  richiama  l’art.  180,comma 8, del medesimo codice della strada, un’interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali. Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare – per fugare < <persistenti dubbi nell’interpretazione del testo  originario  dell’art.  126-bis, comma  2, del codice della strada – che la scelta in favore di un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost. essa, infatti,non consentendo  in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità, con conseguente lesione del diritto di difesa, dal  momento che risulterebbe preclusa all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta.
Deve quindi reputarsi che, se resta in ogni caso sanzionabile la condotta di chi semplicemente non ottemperi alla richiesta di comunicazione dei dati personali  e  della  patente  del conducente, viceversa laddove la risposta sia stata fornita, ancorchè in termini negativi, resta devoluta alla valutazione del giudice di merito la verifica circa l’idoneità delle giustificazioni fornite dall’interessato ad escludere la presunzione di responsabilità che la norma pone a carico del dichiarante.
Nel caso di specie il Tribunale, esercitando appunto tale discrezionale potere di apprezzamento in fatto, ha ritenuto di escludere la responsabilità della opponente valorizzando da un lato il decorso del tempo tra la data dell’infrazione contestata e quella della richiesta  di  informazioni  (oltre  tre  mesi)  e,  dall’altro, la riferita presenza nel nucleo familiare  della  Vista anche di altri soggetti ordinariamente fruitori dell’autovettura, reputando in tal modo giustificata la mancata indicazione del nominativo del conducente.
La censura di violazione di legge deve pertanto reputarsi infondata avendo al contrario il giudice di appello fatto corretta applicazione della norma di cui in rubrica alla luce dell’interpretazione che ne è stata offerta dalla Consulta, risolvendosi il motivo nella sostanza in una critica, non consentita, alla valutazione in fatto del giudice di merito.
Deve pertanto affermarsi, al fine di ribadire il rigetto  del  ricorso, il seguente principio di diritto: Ai fini dell’applicazione dell’art. 126 bis del codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo  all’invito  rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve   essere   vagliata   dal   giudice   comune,   di volta volta,  anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da

4. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto –  ai sensi dell’art.  1, comma  17,  della legge 24 dicembre 2012, n.228    (Disposizioni    per    la   formazione    del    bilancio          annuale            e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R.  30 maggio  2002,  n.  115  della  sussistenza  dell’obbligo   di  versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello  dovuto  per  la  stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi € 700,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito

dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara  la  sussistenza  dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il  ricorso  principale  a  norma  dell’art.  1  bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 27 febbraio 2018.

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