Passo carrabile e parcheggio selvaggio: anche il codice penale sanziona

Per quanto riguarda il passo carrabile, la denuncia per limitazione della libertà personale in caso di sosta abusiva su passo carrabile oltre che l’impedimento ad uscire è contemplata anche nell’impedimento ad entrare nel passo carrabile e magari con altre attività da svolgere nell’immediato?

Grazie e cordialità.

RISPOSTA

Il quesito verte sull’applicazione del delitto di violenza privata nel caso, purtroppo non infrequente, di parcheggio “selvaggio” destinato ad ostruire l’accesso alle proprietà private (nell’ipotesi prospettata, il passo carrabile che accede al luogo di ricovero di automobili).

L’art. 610, primo comma, del codice penale punisce, con la reclusione fino a quattro anni, “chiunque con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”. La pena è aumentata (secondo comma) ricorrendo le specifiche aggravanti dell’art. 339 c.p. (es. con armi o con più persone riunite, che però di norma non riguardano la fattispecie in esame).

Nella giurisprudenza della Corte di cassazione, il reato è stato in passato ritenuto integrato nella condotta di chi esegua intenzionalmente il parcheggio di un’autovettura in modo tale da impedire a un’altra automobile di spostarsi per accedere alla pubblica via, accompagnato dal rifiuto reiterato alla richiesta della persona offesa di liberare l’accesso: sez. V, sent. n. 16571/06. Secondo questo più risalente orientamento, dunque, non basterebbe la condotta ostruttiva, ma si richiede che la vittima abbia inutilmente richiesto la rimozione (per il persistente diniego dell’autore a farlo), nonché prova dell’intenzionalità del comportamento. Infine, la vicenda riguardava l’accesso alla via pubblica e non il caso inverso di accesso ad area privata.

Tuttavia, i giudici di Piazza Cavour hanno, in anni recenti, ampliato l’applicazione del reato, affermando che esso ricorra, più in generale, nella condotta di chi parcheggi dinanzi ad un fabbricato in modo da ostacolarne comunque l’ingresso ed impedendo cosi alla parte lesa di accedervi, dunque facendo “cadere” di fatto le anzidette delimitazioni (la specifica “mira” avuta ad impedire l’accesso, il rifiuto reiterato a spostarla, la sola uscita e non entrata).

Poiché il presupposto è che l’elemento della violenza sussiste “in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione” (sez. V, sent. n. 8425/14), il delitto è integrato ogni qualvolta si impedisce ad altri di compiere (“fare”) azioni che normalmente non si sarebbe tenuti a svolgere, oppure si costringe altri a non compiere (“omettere”) azioni che normalmente si avrebbe pieno diritto a svolgere, o in ogni caso sopportare (“tollerare”) il comportamento lesivo. Conta, in definitiva, la compressione della propria sfera di libera autodeterminazione, coartata in tal modo dalla collocazione del mezzo. La “violenza” richiesta dalla norma penale, in estrema sintesi, risiede direttamente nelle modalità dell’uso del mezzo ostativo, non in uno specifico comportamento attivo in sé fisicamente compressivo.

In questo senso, sarebbe illecito il comportamento di chi si ostini a parcheggiare in modo da impedire sia l’uscita dal passo carrabile, sia l’ingresso al medesimo (anche accedere alla proprietà è ovviamente espressione della propria autonoma e libera determinazione!), sia – infine – attività ad esso connesse (si pensi all’accesso di un ambulanza in caso di emergenza o alla persona portatrice di handicap fisico che veda seriamente compromessa la propria, più limitata, possibilità di movimento). Beninteso, dovrà pur sempre essere un comportamento in tal senso cosciente e volontario (non dunque una mera distrazione, oppure una imperiosa necessità).

Il reato – vale rammentarlo – non richiede la querela, ossia la specifica richiesta di punizione da parte della persona offesa, ma è procedibile d’ufficio.

 

Aldo Areddu
Avvocato in Roma
areddu@avvocatoaldoareddu.com

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