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La sentenza

LA MERA DETENZIONE DI UN SOFTWARE CONTRAFFATTO DA PARTE DI UN LIBERO PROFESSIONISTA NON E' REATO

Non costituisce illecito penale la detenzione, da parte di un libero professionista iscritto ad un albo professionale, di un supporto contenente programmi per elaboratore non contrassegnati.
Un geometra era stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 171 bis legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere, in qualità di titolare di uno studio, abusivamente duplicato per trarne profitto, installandoli su quattro postazioni di lavoro del detto studio, i programmi Microsoft Office 2000 e Windows 2000, mancanti delle previste licenze d'uso.

programma non originale

Il Tribunale in prime cure, ritenuto provato che i programmi informatici erano detenuti ed utilizzati per le ordinarie attività dello studio professionale, aveva ritenuto configurabile la seconda ipotesi di reato prevista dall'art. 171 bis cit., ossia quella di avere detenuto, per trarne profitto, a scopo commerciale o imprenditoriale i programmi contenuti in supporti non contrassegnati col marchio Siae.

La Corte suprema di cassazione, sezione terza penale, con la sentenza 22 ottobre 2009 (dep. 22 dicembre 2009), n. 49385/09
ha invece escluso la sussistenza del reato, ritenendo che la condotta di un professionista non possa essere mossa da alcuno "scopo commerciale od imprenditoriale".      
Affermano i giudici che "vi è una netta contrapposizione tra l'attività imprenditoriale industriale, disciplinata appunto dagli artt. 2188 ss. cod. civ., e l'attività libero professionale intellettuale, regolata invece dagli artt. 2229 ss. cod. civ" e che "tale contrapposizione non viene meno neppure quando l'attività professionale intellettuale viene esercitata con l'aiuto di ausiliari o in forma collaborativa associata".
Nella specie si tratta della attività di geometra, che ha appunto natura libero professionale e non imprenditoriale, rientrando tra le professioni qualificate come intellettuali ad ogni effetto, disciplinata come tale da una apposita legge (r.d. n. 271/1929) e tali da richiedere l'iscrizione in un apposito albo per il relativo lecito esercizio.

Per accertare, rammenta la Corte, la natura professionale di una prestazione che utilizzi sistemi di elaborazione elettronica - come tale riservata non alle società di servizi, ma a professionisti iscritti negli appositi albi professionali - il giudice deve valutare la prevalenza dell'attività intellettuale su quella materiale, tenendo conto che possono esservi servizi in cui la prima ha una funzione ridotta rispetto all'elaborazione elettronica (come nel caso in cui l'elaborazione consista nel conseguire il risultato di un calcolo cosi complesso che sarebbe impensabile affidarlo alla sola mente umana) e servizi in cui, invece, l'attività intellettuale prevale, intervenendo con le proprie cognizioni specialistiche e trovando nell'elaboratore solo uno strumento che si limita a rendere più veloce, rispetto alla mente dell'uomo, la scritturazione dei calcoli.

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