Straordinario della Polizia Locale non è obbligatorio - IL TUO AMICO VIGILE - Polizia Municipale

Vai ai contenuti

Menu principale:

Edu-Circolazione > Circolari

La Polizia Locale di Roma Capitale non era assente ma non ha accordato la prestazione di lavoro straordinaria NON OBBLIGATORIA - questa è la norma!


Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 17582 del 4 Agosto 2014.


"Il ricorso al lavoro straordinario è ammesso “soltanto” previo accordo tra datore e prestatore di lavoro ed “inoltre” in casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive. L’uso di tale ultimo avverbio, in luogo della locuzione “in ogni caso”, evidenzia che, oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esigenze anzidette, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori."

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata ili data 8 gennaio 2008, la Corte d’appello di Genova, in riforma della pronuncia di rigetto di primo grado, ha dichiarato illegittima la pretesa del Comune di Z. di ottenere la prestazione lavorativa del dipendente E.L., avente la qualifica di “esecutore amministrativo – messo, durante le riunioni del Consiglio comunale fissate in ore serali e quindi fuori dal normale orario di lavoro, ed ha annullato le sanzioni disciplinari inflitte alla dipendente per non aver partecipato a tali riunioni, condannando altresì il Comune a titolo risarcitorio al pagamento della somma di € 258,22, per spese sostenute dalla dipendente per la difesa in via amministrativa.
La Corte di merito ha osservato che, in mancanza di una disciplina specifica, era applicabile il D. Lgs. n. 66/03, art. 5, comma 3, che richiama testualmente il R.D. n. 692/23, art. 5, secondo cui “in difetto di disciplina collettiva il lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra le parti che nella specie la pretesa del Comune dì ottenere dalla dipendente prestazioni aggiuntive non rientrava tra le obbligazioni contrattualmente assunte dalla medesima, onde il rifiuto da costei opposto non risultava illegittimo; che dì conseguenza erano anche illegittime le sanzioni disciplinari; che infine era fondata la richiesta di risarcimento del danno, costituita dagli esborsi sostenuti dalla dipendente per la difesa tecnica in sede disciplinare, come da documentazione prodotta.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Comune di Z. sulla base di nove motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ. La dipendente resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 D. Lgs. n. 165 del 2001, deduce che i potere di richiedere ai propri dipendenti l’effettuazione di lavoro straordinario rientra fra le facoltà attribuite alla pubblica amministrazione dalle disposizioni anzidette, che si estrinsecano attraverso atti e determinazioni organizzative al fine di assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente, nel denunziare violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, D. Lgs. n. 66 del 2003, lamenta che la Corte di merito abbia fatto applicazione di tale disposizione, non considerando che essa era inapplicabile ratione temporis, essendo i fatti in questione avvenuti in data anteriore.
3. Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 5 bis R.D. n. 692/1923, il ricorrente deduce che, secondo tale disposizione, il
ricorso al lavoro straordinario, salvo diversa previsione del contratto collettivo, è possibile, tra l’altro, nei casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori. Nella specie la convocazione del Consiglio comunale nelle ore serali costituiva una eccezionale esigenza, dettata dal consentire ai consiglieri “di dedicarsi durante il giorno allo svolgimento delle proprie attività lavorative”.
4. Con il quarto motivo, denunciando omesse motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda, non ha valutato se effettivamente sussistesse l’esigenza del Comune di svolgere le sedute del Consiglio comunale nelle ore serali.
5. Con il quinto motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 16 D.P.R. n. 268/97, che ha recepito il relativo accordo collettivo, deduce che la Corte di merito non ha considerato che, secondo la anzidetta disposizione, la prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze di servizio individuate dall’Amministrazione, attribuendo dunque a questa il potere di imporre lo straordinario, anche a prescindere dal consenso del pendente.
6. Con il sesto motivo, denunziando omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, il ricorrente rileva che in passato la lavoratrice aveva assicurato, nelle medesime circostanze, la sua presenza in servizio. Non poteva dunque manifestare, nelle sedute per cui è controversia, la sua indisponibilità in assenza di valide ragioni che giustificassero tale condotta.
7. Con il settimo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 414 cod. proc. civ., il ricorrente deduce che la dipendente, con il ricorso introduttivo, aveva chiesto dichiararsi illegittima la richiesta del Comune di avvalersi delle sue prestazioni per le sedute ordinarie del Consiglio comunale. Successivamente, in grado di appello, ha esteso inammissibilmente la domanda anche alle sedute straordinarie.
8. Con l’ottavo motivo, denunziando contraddittoria motivazione, il ricorrente rileva che erroneamente, la sentenza impugnata, in relazione al motivo precedente, ha ritenuto che il riferimento, nel ricorso in appello, alle sedute straordinarie costituisse una puntualizzazione delle precedenti conclusioni. La dipendente era ben in grado, quale impiegata amministrativa, di distinguere le riunioni ordinarie da quelle straordinarie.
9. Con il nono motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1227 cod. civ., 91 cod. proc. civ., lamenta che erroneamente la sentenza impugnata ha riconosciuto il risarcimento dei danni per gli esborsi sostenuti dalla dipendente per la difesa tecnica in sede I disciplinare, essendo tale difesa conseguente ad una libera scelta della dipendente medesima, la quale avrebbe potuto avvalersi dell’assistenza sindacale.
10. I motivi che precedono, ad eccezione del quarto, sesto e ottavo, che denunziano vizi di motivazione, si concludono con il quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., non più in vigore, ma applicabile ratione temporis.
11. Il primo motivo è inammissibile, atteso che il ricorrente non formula alcuna censura, limitandosi a richiamare disposizioni di legge, delle quali non esplicita le ragioni della loro asserita violazione.
12. I motivi, dal secondo all’ottavo, che per ragioni di connessione vanno esaminati congiuntamente, non sono fondati.
Deve premettersi, ai fini della individuazione della normativa applicabile che, come risulta dagli scritti difensivi delle parti, i fatti per cui è controversia sono anteriori al marzo 2000, onde sono inapplicabili le disposizioni successive a tale data.
Al riguardo, nulla prevedono i decreti legislativi n. 29 del 1983 e n. 80 del 1998, recanti disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Il richiamo fatto dall’art. 2 di entrambi i decreti alle “leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa” ai fini della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, comporta che anche ai dipendenti degli enti locali deve applicarsi, in materia di orario di Lavoro, il R.D. 15 marzo 1923 n. 692, art. 5 bis» nel testo di cui al D.L. 29 settembre 1998 n. 335, convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 1998 n. 409.
Ed infatti, il D.P.R. n. 268 del 1987, che ha recepito la disciplina prevista dagli accordi sindacali per il triennio 1985- 1987 relativo al personale per il comparto degli enti locali, prevede, al primo comma, che le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fatto ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro, mentre il secondo comma stabilisce che la prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze individuate dall’amministrazione, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.
Tali disposizioni, come rilevato dalla Corte di merito, sono rivolte agli amministratori ed appaiono finalizzate a limitare il ricorso al lavoro straordinario ai fini del contenimento della spesa pubblica. In tal senso deve intendersi il richiamo alle “situazioni di lavoro eccezionali” ed alle “esigenze di servizio individuate dall’amministrazione”, in mancanza della previsione di un obbligo, per il dipendente, dello svolgimento di lavoro straordinario
Parimenti alcun obbligo per il dipendente è previsto dal CCNL 1994-1997 per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, il quale detta disposizioni in materia di ore settimanali di lavoro e di articolazione dell’orario di lavoro, nonché dal successivo CCNL 1998-2001 dello stesso comparto, il quale si limita a dettare previsioni in ordine alle risorse finanziarie utilizzabili
per il lavoro straordinario e per il contenimento dello stesso, fissando il limite annuale massimo di 180 ore.
13. Posto dunque che nella specie trova applicazione l’art. 5-bis del R.D. n. 692 del 1923, nel testo di cui all’art. 1 D.L. n. 335 del 1998, convertito, con modificazioni nella lege n. 409 del 1998 – disposizione questa riprodotta dal D. Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, art. 5, emanato in attuazione delle direttive CE, non applicabile ratione temporis – deve osservarsi che il predetto art. 5-bis dispone, al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, “in assenza di disciplina ad opera dei contratti collettivi nazionali”, esso “è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro”.
Aggiunge al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario “è inoltre ammesso, salvo diversa previsione del contratto collettivo”, tra l’altro, nei “casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori.
Deduce il ricorrente che, in base a tali disposizioni la dipendente non avrebbe potuto sottrarsi all’espletamento del lavoro straordinario, essendo dettata la convocazione serale del Consiglio comunale da una “eccezionale esigenza”, dovendo i consiglieri contemperare la funzione da loro esercitata con le esigenze di lavoro.
Senonché, a prescindere che l’art. 5-bis sopra citato fa riferimento alle “imprese industriali (primo comma) e ai “casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impassibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori (terzo comma, lettera a)), tale disposizione non esclude la prestazione del consenso da parte del lavoratore, disponendo che il ricorso al lavoro straordinario è ammesso “soltanto” previo accordo tra datore e prestatore di lavoro ed “inoltre” in casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive. L’uso di tale ultimo avverbio, in luogo della locuzione “in ogni caso”, evidenzia che, oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esigenze anzidette, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori.
Deve aggiungersi che, anche a voler interpretare la disposizione in esame nel senso prospettato dal ricoprente, nella specie la Corte di merito ha accertato, con valutazioni non sindacabili in questa sede, che le convocazioni in orario serale erano divenute la regola e non erano quindi dettate da esigenze straordinarie ed occasionali. Il rifiuto della dipendente, il cui orario di servizio era dalle ore 7,30 alle 13,30 e che nelle precedenti occasioni aveva assicurato la sua presenta durante le sedute del Consiglio comunale non risultava pertanto illegittimo.
Al riguardo questa Corte ha affermato che, anche nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere prestazioni straordinarie – non è il caso in esame -, l’esercizio di tale facoltà deve essere esercitato secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli arti. 1175 e 1375 cod. civ., nel contenuto determinato dall’art. 41,
secondo comma, Cost. (cfr. Cass. 5 agosto 2003 n. 11821; Cass. 7 aprile 1982 n. 2161 nonché Cass. 19 febbraio 1992 n. 2073, la quale ha escluso la configurabilità dell’illecito disciplinare in relazione al rifiuto da parte del lavoratore di riprendere servizio dopo circa otto ore dalla fine del turno notturno per svolgere lavoro straordinario, non essendo la relativa richiesta giustificata da esigenze aziendali assolutamente prevalenti).
Alla stregua di tutto quanto precede ed in applicazione, anche, dei principi generali in materia di obbligazioni contrattuali, ed in particolare dell’alt. 1374 cod. civ., secondo cui il contratto obbliga le parti all’esecuzione di quanto è espresso nel medesimo, oltre che alle conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità, i motivi in esame devono essere rigettati, dovendosi escludere che il datore di lavoro potesse imporre alla dipendente lo svolgimento del lavoro straordinario.
13. La statuizione che precede assorbe la censura relativa alla modifica delle conclusioni di primo grado., nelle quali La lavoratrice aveva fatto riferimento alle sole riunioni “ordinarie”.
Peraltro, anche tale censura è priva di fondamento, in quanto, da un lato, la Corte di merita – alla quale spetta la interpretazione della domanda – ha ritenuto che il richiamo alle riunioni “ordinarie” dovesse intendersi riferito alla convocazione “in via normale” delle riunioni in orario serale; dall’altro perché il ricorrente non ha chiarito quali fossero, ai fini che qui rilevano, le differenze tra riunioni ordinarie e straordinarie, una volta che entrambe avvenivano nelle ore serali e che solo per tale motivo la dipendente non ha assicurato la presenza.
14. Infondato è, infine, l’ultimo motivo, avendo La dipendente, come risulta dalla sentenza impugnata, documentato gli esborsi sostenuti per la difesa tecnica, esborsi che, in quanto dipendenti dalla illegittima applicazione delle sanzioni disciplinari, la Corte di merito ha correttamente ritenuto che dovessero essere posti a carico dell’odierno ricorrente, a titolo risarcitorio.
15. Il diverso esito dei giudizi di merito e l’obiettiva difficoltà delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti.

 
Torna ai contenuti | Torna al menu