test sierologico anti HIV senza che gli venisse chiesto il preventivo consenso esito positivo del test aids Diagnosi errata di Aids - No al danno morale - IL TUO AMICO VIGILE - Polizia Municipale

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Corte di Cassazione Civile sez.III 2/4/2009 n. 7999; Pres. Vittoria P.




SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 3817/2002 il Tribunale di Bologna condannava la Casa di Cura Madre (omissis) del Pio Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia a pagare in favore di B.T. Euro 25.822,84 a titolo di risarcimento danni da diagnosi errata e accoglieva la domanda di manleva svolta dalla convenuta nei confronti della Cattolica di Assicurazione soc. coop. a r.l..

Con sentenza in data 7 aprile - 21 giugno 2006 la Corte d'Appello di Bologna rigettava sia l'appello principale del B., sia l'appello incidentale della Cattolica osservando per quanto interessa: il risarcimento del danno morale era stato negato non emergendo alcuna ipotesi di reato; difettava totalmente la prova del danno esistenziale; la domanda di risarcimento del danno patrimoniale era argomentata in termini che la rendevano inammissibile; il danno biologico era stato liquidato correttamente; la comunicazione dell'esito dell'esame sierologico era una conseguenza dovuta dell'illecita esecuzione dell'esame.

Avverso la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi.

La Casa Generalizia e la Cattolica Assicurazioni hanno resistito con separati controricorsi ed hanno prodotto memorie.

E' stata depositata una relazione d'inammissibilità del ricorso per mancanza di idonei quesiti, ma all'adunanza in Camera di consiglio del 15 febbraio 2008 la causa è stata rinviata ala pubblica udienza.

La Cattolica ha prodotto una seconda memoria.



MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva preliminarmente la Corte che il precetto di cui all'art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi soddisfatto dalle sintesi riportate nella pagine 2 e 3 del ricorso, che, dunque, risulta procedibile.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 610 c.p., art. 2059 c.c, art. 185 c.p.p., art. 32 Cost., comma 2, nonchè della L. 5 giugno 1990, n. 135, e chiede alla Corte di stabilire se l'esecuzione del test dell'HIV in violazione della L. n. 135 del 1990 costituisca reato.

La censura si rivela manifestamente infondata.

Il ricorrente premette di avere subito un intervento chirurgico per lesione al tendine di Achille; di essere stato nell'occasione sottoposto, tra gli altri esami, al test sierologico anti HIV senza che gli venisse chiesto il preventivo consenso; che gli venne comunicato l'esito positivo del test; che un nuovo esame praticato dopo una settimana aveva consentito di accertare l'erroneità del primo test; di avere patito un tremendo shock in conseguenza della prima notizia.

Ne inferisce che l'effettuazione del predetto esame senza il suo consenso e in mancanza di una necessità clinica integrava gli estremi del delitto di violenza privata, concretizzatosi nell'illecita costrizione a tollerare un'attività sanitaria non voluta.

La Corte Territoriale, con accertamento di fatto non censurato e non censurabile, ha condiviso l'affermazione del Tribunale, secondo cui non vi era stata alcuna costrizione nè al momento del prelievo del sangue, nè in quello successivo dell'indebita esecuzione del test.

Inoltre ha negato la configurabilità nella specie del dolo - e, quindi, del delitto ipotizzato - sul rilievo che l'esame era stato disposto per errore.

Alle sopra sintetizzate considerazioni, intrinsecamente esaustive, è agevole aggiungere che - come si evince anche dalle argomentazioni del ricorrente - il patema d'animo da lui lamentato e posto a fondamento della domanda risarcitoria si rivela eziologicamente collegato non già al prelievo e all'esame, ma alla informazione errata circa la positività del test.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2043 c.c. e art. 185 c.p., per l'esclusione della risarcibilità del danno morale in presenza di una condotta lesiva dei fondamentali diritti della persona costituzionalmente tutelati dall'art. 32 Cost. e dalla L. 5 giugno 1990, n. 135.

Anche questa censura risulta infondata. E' vero che il più recente orientamento giurisprudenziale (Cass. S.U. n. 26972 del 2008) estende la tutela risarcitoria ai diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione allorchè una lesione grave abbia arrecato loro un serio pregiudizio. A ciò si è pervenuti attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., norma che definisce il danno non patrimoniale come un unicum, una categoria generale nell'ambito della quale emergono specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione di tale danno.

Tuttavia non solo la Corte d'Appello ha negato che nella specie vi sia stata una lesione dipendente da un fatto astrattamente prevedibile come reato, ma dal testo della sentenza impugnata risulta anche che il danno biologico era stato liquidato dal Tribunale tenendo conto della particolarità della fattispecie concreta (fondato timore per la propria vita, pesanti riflessi sulla serenità familiare protrattisi sino al momento della ripetizione del test).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2059 e 2043 c.c., art. 32 Cost., con riferimento all'esclusione della risarcibilità del danno esistenziale in presenza di una condotta lesiva dei fondamentali diritti della persona costituzionalmente garantiti.

La doglianza si rivela infondata. Richiamati i principi esposti nell'illustrazione della precedente censura, occorre rilevare che la Corte Territoriale, in sostanziale armonia con quanto sopra affermato, ha ritenuto del tutto carente la prova sul punto e, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici, ha spiegato che le stesse modalità della vicenda escludono che il B. possa aver subito una permanente e significativa modificazione in pejus delle sue abituali condizioni di vita o che si sia verificato un qualsiasi peggioramento della serenità familiare, riconoscendogli, invece (come sopra riferito), una "comprensibile, gravissima agitazione della prima settimana".

Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.



P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in favore della Cattolica in complessivi Euro 2.900,00, di cui Euro 2.800,00 per onorari e in favore della Casa di Cura in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

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